Quando ho chiesto a Carlo Gigante di scrivere qualche riga sulla sua vita da arrotino e coltellinaio, non conoscevo la sua storia. Sapevo che Carlo era uno dei fondatori e fra i più esperti arrotini della Associazione, ma non mi aspettavo un racconto così epico. Oggi Carlo ha 75 anni e una bella famiglia ed ancora, tutte le mattine, alza la serranda del suo negozio in Corso Sardegna 369/R, a Genova. Andatelo a trovare. Potrete dire di aver acquistato un coltello o di averlo fatto affilare dal Maestro Carlo Gigante.

Ecco la sua storia, storia di quando i profughi eravamo noi Italiani,  storia di riscatto e successo, storia di passione e dedizione per un lavoro, quello dell’arrotino, che può diventare un’arte.

 

Il mio primo incontro con la mola è stato nell’ottobre 1955, dopo la seconda bocciatura. Non è stato amore a prima vista, ma neanche rifiuto. Dovevo imparare un mestiere ed imparare a gestire il profondo disagio che avevo dentro di me. Mi sentivo un reietto, bocciato dalla scuola, con una situazione famigliare difficile. Eravamo profughi venuti dalla Romania, espulsi pèrche di nazionalità italiana. Espulsi con l’assoluto divieto di portare con noi beni materiali, solamente vestiti materassi e stoviglie. Poveri, senza conoscere una parola della lingua italiana, ma sia mio papà che mio zio avevano una grandissima ricchezza, “la perfetta conoscenza di un mestiere”. La loro abilità era tale che, subito dopo la guerra, in Romania, i miei si ingegnavano a fabbricare a mano forbicine per le pellicine, a quei tempi diventate merce introvabile.  La seconda fonte di disagio era il luogo di lavoro, uno sgabuzzino ricavato da un sottoscala, largo poco più di un metro e mezzo e profondo tre. La cosa singolare di questo sgabuzzino era l’altezza. Dove era sistemata la mola si poteva lavorare in piedi, ma l’altezza del soffitto dove si lucidavano gli articoli era tale che dovevi lavorare da seduto. E per l’acqua necessaria alla mola invece provvedeva una fontanella vicina.

A Sampierdarena, quartiere operaio di Genova, a quei tempi esistevano quattro negozi di arrotini già affermati. Ogni cliente lo dovevi conquistare con la tua abilità, avendo come fonte pubblicitaria solamente il passaparola. Erano gli anni delle forbici Nogent, Rosa, Romano Mazzoli, fatte con un acciaio molto duro. Quando le smontavi, se non adottavi tutti gli accorgimenti necessari, si spaccavano e non potevi dire al cliente “è successo”. A quei tempi i soldi erano pochi, comprare una forbice nuova costava e poi ne andava del tuo prestigio. I coltelli inossidabili erano rarissimi. La maggior parte erano in acciaio al carbonio, spesso molto arruginiti. Per ottenere un bel lavoro dovevi togliere la ruggine con la mola facendo attenzione a non creare avvallamenti sulla lama, altrimenti diveniva più difficile poi lucidarli con smeriglio tre zeri e poi con spuntiglio. Questi abrasivi erano in polvere e venivano incollati artigianalmente su ruote di feltro. Dopo la smerigliatura i coltelli venivano spazzolati con mole di stracci e pasta abrasiva.

Si arrotavano dai 30 ai 50 rasoi a mano libera alla settimana. I barbieri per riprendere il filo del rasoio, oltre alla coramella adoperavano tavolette di legno di balsa con sopra spalmata la pasta abrasiva per rasoi. I capelli li tagliavano solamente a forbice. Per loro era un segno di abilita fare la sfumatura dei cappelli senza adoperare la tosatrice. Il mercoledì pomeriggio i macellai erano chiusi e arrivava in laboratorio una montagna di coltelli. Coltelli Victoria, Dik , Due Gemelli, tutti in acciaio al carbonio, arrugginivano, ma erano molto efficienti. La pietra per affilare era grigia, penso fosse una qualità di ardesia. A me dicevano che era pietra di Candia, si adoperava bagnata e si consumava tantissimo.

Anche a quei tempi essere profughi significava essere guardati con diffidenza. La nostra prima preoccupazione è stata l’integrazione, imparare la lingua, adottare gli usi e costumi prima della nazione poi della città dove vivevamo. Questa integrazione ha facilitato il contatto con altri colleghi, gli Albertini di Genova, i Dossi, i Madotto ed i Bruna di Milano. Avere con loro scambi culturali in merito al lavoro e agli attrezzi, ha permesso un ammodernamento delle tecniche e delle mole utilizzate. Finalmente aprimmo un negozio vero con tanto spazio. Dal contatto con gli altri colleghi copiammo i primi basamenti in cemento armato per le mole (da me rifatti quando ho aperto il mio negozio ed uno è ancora funzionante). Niente più vibrazioni, scricchiolii e rumori vari che produceva il vecchio banco di legno con i vasconi per la raccolta dell’acqua fatti di ferro. Mole Norton, una da 80 cm per i coltelli e una da 45 cm di diametro per le forbici, entrambe silenziosissime. La loro qualità era indiscussa. Senza bisogno di essere ravvivate frequentemente, mantenevano la loro aggressività per molto tempo e non scaldavano. La grande abilità consisteva nel mantenerle centrate. Molti arrotini incapaci (esistevano anche allora) lavoravano con mole ovalizzate dal lavoro e dalla cattiva manutenzione.

Poi il militare e la scuole serali per conseguire la licenza media e il matrimonio con Olga. Ho una figlia e due meravigliosi nipoti, ora sono quasi 50 anni che siamo sposati .

Negli anni 80 assieme al collega di Alessandria, Livio Polla, abbiamo fondato la prima Associazione degli Arrotini. Sembrava poca cosa, si risolveva in qualche pranzo sociale e tanti proclami, però è stata la prima scintilla. Colleghi più giovani e più intraprendenti hanno poi preso in mano quest’idea e l’hanno portata avanti. Ora, con gli attuali mezzi di comunicazione (Whatsapp, Facebook, ecc) si possono contattare tutti gli iscritti in pochi secondi. Quando abbiamo incominciato noi si comunicava via lettera o telefono.

La visita alla Fiera delle Armi di Brescia e l’interesse della clientela per la coltelleria sportiva, mi ha stimolato a  realizzare coltelli sportivi a mano. Ingenuamente credevo fosse un campo semplice per me, che ho sempre affilato e lavorato con la mola. Quanto mi sbagliavo! Quando mi sono sentito pronto, alla mostra del coltello al Mariot di Milano, ho avvicinato il Maestro Francesco Pachi per avere un giudizio sui miei coltelli. Avevo conosciuto i suoi lavori prima dalle riviste specializzate e poi di persona ad una mostra di coltelli. Ancora adesso lo ringrazio perché vedendo i miei lavori non mi ha riso in faccia. Quell’anno non mi ero presentato come espositore alla mostra, ero li come semplice visitatore ad osservare il lavoro dei coltellinai più famosi del momento. Ad essere sinceri non li trovai molto più belli di quelli fatti da me, ma la cosa che più mi diede fastidio era quell’aria da “ispirati dall’altissimo” che qualcuno degli espositori assumeva quando provavi a chiedere nozioni sul loro modo di lavorare e sui materiali.

Fortunatamente non tutti erano così chiusi. Ho fatto conoscenza con un maestro americano, lui, pur con la difficolta della lingua, tramite interprete e con molta semplicità mi ha spiegato come lavorava. Grazie Ricardo Velarde! Il vero maestro è colui che sa donare il suo sapere! 

Prima di partecipare alle mostre ho cercato di capire il mondo del coltello custom leggendo libri, riviste e guardando le foto e i pochi filmati che erano disponibili, ma soprattutto ho cercato di mettere in pratica i consigli del mio maestro. Nelle pagine di un libro che ho letto un grande coltellinaio di fama mondiale ha scritto: ”Il Coltellinaio è il mestiere più antico del mondo. Quello che generalmente si dice sia il più antico, verrà dopo, quando l’uomo avrà merci da scambiare. Prima ha dovuto creare un attrezzo che gli permettesse di sminuzzare il cibo, scuoiare gli animali per avere pelli da coprirsi, tagliare tronchi per costruire un riparo, avere un’arma per difendersi”.

Ho ricevuto due targhe di riconoscimento come miglior coltello esposto ad una mostra, la certificazione di Maestro coltellinaio dal Cic (Confederazione Italiana Coltellinai) e poi quella di Mastro Arrotino dalla AAeC. Assieme ad altri 7 colleghi, siamo i primi in Italia.

Ecco questa è la mia storia, ma non voglio chiuderla senza un ringraziamento pubblico a quei colleghi (qualcuno senza neanche conoscermi di persona) che nei tristi momenti del 2011, dopo l’alluvione di Genova, quando un metro d’acqua aveva devastato il negozio, io ero sconfortato e pensavo di piantare tutto, mi hanno aiutato e non solo moralmente .

Scrivere queste righe mi ha costretto ad esaminare tutta una vita ed un’immagine mi è apparsa: due uomini ed un ragazzo in fila indiana, prima il papà, poi lo zio, poi io, con passo spedito stanno andando a lavorare. Io mi guardo indietro e non ho più nessuno che mi segua. Forse questo vuoto rappresenta il cambiamento. L’era degli arrotini con negozio è destinata a finire? I nuovi sistemi di vendita, l’invasione di articoli di scarsa qualità, la mancanza di tempo da parte della clientela, la supponenza di quelli che hanno letto tutto su internet e perciò ne sanno più di te, spingono sulle nostre saracinesche. Come un mostro mitologico al quale si taglia la testa e ne rinasce una nuova, anche questo mestiere rinasce. Ieri partivano dalle valli con una mola montata su un carretto ed andavano nelle piazze ad offrire il loro lavoro. Oggi le Coltellerie hanno sofisticati siti internet per vendere on-line e gli arrotini itineranti guidano moderni furgoni attrezzati con mole e pulitrici per raggiungere e soddisfare i propri clienti ovunque si trovino. Questo è un mestiere che per ora non muore.

Ora basta. Dai Carlo, muovi le mani, che c’è tanto da fare!  

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