Tra i vari sistemi di affilatura esistenti sul mercato possiamo distinguere due categorie in base al metodo di utilizzo: la prima riguarda tutti quegli strumenti che aiutano l’utilizzatore a mantenere un angolo predefinito durante il ripristino del tagliente, mentre la seconda annovera tutti quei supporti dove è la mano dell’operatore a giocare il ruolo predominante.
E’ proprio di quest’ultima che parleremo che comprende le pietre sintetiche, quelle naturali, come anche gli acciaini di varie forme e tipologie.
Il titolo anticipa una necessaria premessa: tutti questi strumenti sono dei palliativi, cioè aiutano a mantenere il tagliente più a lungo, ma non sostituiscono mai il lavoro dell’arrotino o, se lo fanno, comportano un impiego di tempo considerevole in una ristretta cerchia di casi. Lame con profilo ingrossato o deformato da uso scorretto di affilatori vari o con scheggiature di diversa entità possono essere ripristinate solo con mole, nastri e brunitrici che consentano di ricreare la sezione originale e di procedere al necessario affinamento del tagliente. Naturalmente l’elemento fondamentale rimane la mano esperta, formata in anni di pratica che chi svolge questo mestiere possiede.
Come avrete capito, stiamo parlando unicamente della manutenzione dei coltelli, dato che tentare di ripristinare in maniera casalinga il tagliente di forbici, cesoie, tronchesini e di molti altri strumenti con meccaniche molto complesse ha il solo risultato di peggiorare la situazione.
Nel caso del coltello, l’usura è spesso data dal fatto che il filo si arrotonda o si “gira” da un lato e non dovendo lavorare in coppia con un altro tagliente, come nel caso della forbice, risulterà relativamente “semplice” provvedere al suo ripristino.
LE PIETRE SINTETICHE
Come per gli altri abrasivi rigidi (vedi mole), le pietre sintetiche sono generalmente composte da due elementi: il legante, che ha il compito di trattenere il granulo abrasivo fino all’esaurimento della sua funzione, e l’abrasivo stesso (ceramico, ossido di alluminio o carburo di silicio) che serve ad asportare il metallo in fase di affilatura. Esistono anche pietre composte da solo abrasivi (senza legante) ottenute per elettrofusione termica, ma in commercio sono la minoranza (es. Missarka). A seconda dell’utilizzo (grande asportazione, media finitura, lappatura, ecc.) l’abrasivo varia di dimensione o meglio di granulometria. Le grane fini sono identificate dai numeri più alti, mentre quelle più grossolane dai numeri più bassi (una pietra grana f120 è più grossolana di una f 1000).
La regola fondamentale per ottenere un filo performante è l’affinamento: la fase di asportazione lascia sulla superficie del tagliente dei solchi profondi che, a mano a mano che si affinano le grane, tenderanno ad abbassarsi e ridursi sempre di più in base al tipo di finitura e di performance del tagliente che si vuole ottenere.
In base a questo principio, chi decide di cimentarsi in questa attività deve fare attenzione, dato che esistono diverse scale di classificazione delle granulometrie, che è necessario conoscere, perché le numerazioni che identificano la dimensione dell’abrasivo sono molto diverse e possono trarre in inganno l’utente finale.
Quelle più usate sono:
Jis (Japanese Industrial Standard)
Fepa (Federation of the European Producers of Abrasives)
Ansi (American National Standard Institute)
Come si può vedere dalla tabella di comparazione, di cui il file allegato, una pietra grana f1000 (Fepa), corrisponde ad una j3000 (jis) (precisiamo che la tabella non garantisce l’accuratezza dei dati ed è mostrata a mero titolo di esempio).
Anche se per l’identificazione delle grane esistono più metodologie e standardizzazioni, il metodo principale di determinazione della granulometria consiste nel far passare l’abrasivo in setacci con maglie successivamente più fini. La sua granulometria sarà identificata dall’ultimo setaccio che trattiene i granuli e verrà determinata dal numero di maglie dello stesso per unità di misura. Esistono anche altre determinazioni delle dimensioni per i microformati, effettuate misurando i singoli granuli in micron (millesimi di millimetro).
Anche se la maggior parte delle pietre vendute nelle nostre coltellerie sono giapponesi, identificate dallo standard Jis, è sempre bene, se si vogliono comparare due prodotti, accertarsi che siano identificati dalla stessa scala granulometrica per evitare errori di valutazione in fase di acquisto.
Considerando lo standard Jis, si possono individuare tre fasce di utilizzo:
• quando il tagliente presenti scheggiature o profilo fortemente ingrossato, andranno utilizzate le grane dalla 120 alla 400.
• per media finitura, quando la lama non presenti danneggiamenti o dove la tipologia di acciaio non consenta per sua natura un affinamento spinto (basso/medio tenore di carbonio) si useranno le grane dalla 800 alla 1200.
• si useranno invece le pietre dalla 2000 fino alla 8000 per eliminare la bava creata dai precedenti passaggi, per affinare il tagliente, lucidandolo di conseguenza più o meno a specchio.
Esistono anche in commercio granulometrie nominalmente più fini della j8000, ma bisogna sapere che non esistono sistemi di misura in grado di certificare la dimensione dell’abrasivo. In questo caso ci si può solo fidare delle specifiche del produttore.
Da questo si deduce che sarebbe consigliabile avere più pietre per poter svolgere al meglio l’affinamento o, se non altro, averne una combinata in base alle proprie esigenze (es.: 240/1000, 1000/5000)
Le pietre sintetiche giapponesi si utilizzano sempre ad acqua e prima di iniziare ad affilare è necessario immergerle in un catino per circa 10 minuti. Durante questo lasso di tempo la pietra assorbirà il liquido emettendo delle caratteristiche bolle che saranno più o meno intense a seconda della porosità del materiale. E’ sconsigliabile lasciare le pietre sempre in immersione perché alcuni leganti non sono adatti a ciò, con l’effetto che la pietra potrebbe “ammorbidirsi” e fessurarsi durante l’asciugatura. Questo obbliga l’utilizzatore ad asportare successivamente lo strato deteriorato.
Altro elemento importante è il profilo della pietra che deve essere sempre piano per una lavorazione corretta. Infatti, se la superficie di affilatura dovesse presentare dei solchi o degli avvallamenti, è necessario rettificarla. Anche se esistono in commercio delle placche per la rettifica e polveri dedicate, un modo economico per procedere alla spianatura è quello di procurarsi dei fogli abrasivi di varie grane, resistenti all’acqua, ed una superficie rettificata come ad esempio una lastra di vetro di alto spessore. Dopo aver disegnato una griglia su tutta la superficie da rettificare con una matita, è sufficiente strofinare la pietra sul foglio abrasivo bagnato d’acqua, riposto sulla lastra di vetro (o su altra superficie sicuramente piana).
Quando la griglia sarà sparita la pietra sarà spianata. Attenzione però che sarà necessario usare come ultimo passaggio un foglio abrasivo che sia di granulometrie simile a quella della pietra per evitare che residui abrasivi grossolani “ubriachino” la granulometria effettiva.
DOVE AFFILARE
La postazione ideale per procedere all’affilatura può essere il lavello, dove abbiamo a portata di mano l’acqua necessaria e dove sarà facile la pulizia a fine operazione. Su di esso applicheremo i classici supporti reggi pietra estensibili che si possono acquistare presso i nostri negozi. Naturalmente si può affilare su qualsiasi superficie piana, avendo cura di mettere sotto la pietra un panno spugna inumidito che ne assicuri l’immobilità ed un eventuale rialzo che consenta alla mano di rimanere distaccata dal piano di appoggio nel caso in cui la pietra non sia dotata di supporto o questo sia di ridotto spessore.
Prima di iniziare il procedimento bisogna osservare il tagliente in sezione per capire se sia simmetrico o asimmetrico. Tranne alcune eccezioni, i coltelli prodotti in occidente fanno parte della prima categoria ed in questo caso dovremo impostare lo stesso angolo di affilatura per entrambi i lati della lama. Per mantenere costante l’angolazione esistono sul mercato delle apposite guide da applicare alla costa del coltello (la parte opposta al tagliente) da tenere in posizione durante il procedimento, ma la cosa migliore è apprendere un minimo di manualità che ci permetterà di poter variare a nostro piacimento l’angolo di lavoro in base alla forma ed alla sezione del filo. Questi sono infatti ausili da usare per specifiche larghezze di lama, dato che la trigonometria insegna che a parità di altezza della guida, l’angolo di affilatura varia in base alla larghezza della lama stessa. Al limite, per avere un idea della corretta posizione della mano, può essere utile usare un cuneo di legno, costruito ad hoc, da appoggiare sulla pietra e su cui si appoggerà la lama. Questo elemento, posizionato su un’estremità della pietra, consente di iniziare il movimento di affilatura con un angolo costante, indipendentemente dalla larghezza della lama. Nel caso invece dei coltelli giapponesi come lo
yanagiba (vedi foto), il deba, e l’usuba siamo in presenza di un taglio asimmetrico e sarà necessario variare l’angolo di affilatura nei due lati della lama.
La posizione del coltello rispetto alla pietra sarà in diagonale, con angolo di circa 45 gradi, perché in questo modo si utilizza l’intera larghezza della pietra, favorendone il consumo regolare, oltre ad interessare un lungo tratto di lama durante l’affilatura. Così si possono anche regolarizzare eventuali differenze di spessore in prossimità del tagliente, a volte presenti per imperfezioni di costruzione. L’angolo di affilatura tra lama e pietra per un coltello simmetrico sarà di circa 10-15° (a seconda della tipologia), mentre per gli asimmetrici la posizione corretta si otterrà appoggiando l’intera faccia piatta della lama (che in realtà è spesso concava) e l’intera superficie tra tagliente e shinogi per la faccia a “smusso” (in giapponese lo shinogi rappresenta la linea di demarcazione del cambio di inclinazione dei piani situata tra filo e costa del coltello).
In questo caso potremo affilare la parte piatta/concava con il filo posizionato in avanti, tenendo presente che bisognerà lavorare prevalentemente il lato con lo shinogi, riservando poi ad essa un 1/10 di passate rispetto a quella a “smusso”. Questo per non eliminare la concavità che ha lo scopo di creare una camera d’aria tra lama ed alimento tagliato, allo scopo di renderla antiaderente (vedi foto asimmetrici 1,2,3).
Da ciò si deduce che risulta più semplice affilare un asimmetrico perché è sufficiente seguire gli angoli impostati dal produttore.
Per i simmetrici invece, un metodo utile per verificare il corretto angolo di affilatura è quello di colorare con un pennarello nero il tagliente e la zona immediatamente retrostante (vedi foto). La larghezza di questa fascia dipenderà dalla sezione del filo e sarà tanto più ampia quanto più sarà ottuso l’angolo originale di affilatura. Per dare un indicazione di massima, potrà variare dai 2 ai 5 mm circa, ma vedrete che con un po’ di pratica riuscirete a determinarla voi stessi. Ora, impugnando il coltello con la mano destra, il filo verso di sé e con l’angolazione sopradescritta (45°, 10-15°), lo faremo scorrere sulla pietra per una volta, iniziando dal tratto vicino al manico, premendo sulla lama con la mano sinistra quando si sposta il coltello in avanti e rilasciando quando si torna indietro. A questo punto gireremo il coltello e verificheremo dove è stata rimossa la riga nera. Se questa non sarà più presente sul filo, diminuiremo l’angolo di affilatura, mentre se la zona rimossa sarà al centro o verso il limite opposto al filo, continueremo in questa posizione fino a creare su tutta la lunghezza del tagliente una leggera bava omogenea. La parte più difficoltosa rimane la parte tondeggiante della punta dove dovremo eseguire un movimento a semicerchio per poter seguire la curva descritta del tagliente del coltello, avendo cura di alzare la mano (rispetto al piano d’appoggio) quando si arriva nella zona della punta. Il suono emesso dallo sfregamento può esserci d’aiuto, suono che deve essere sordo e costante durante il procedimento perché se acuto può essere indicazione di un angolo di affilatura troppo accentuato (vedi foto test angolo 1,2,3).
Ripeteremo poi la medesima operazione impugnando il coltello con la mano sinistra. In questo caso la manovra sarà più difficoltosa per i destrorsi, ma ha il vantaggio di poter affilare comodamente la zona della lama vicino al manico, cosa che non si potrebbe fare agevolmente utilizzando la mano destra, capovolgendo il coltello. Con il filo in avanti, infatti, si rischia di “affettare” la pietra nel caso di leganti teneri se si esercita una pressione eccessiva.
Particolare da tener presente è che la fanghiglia che si crea durante il procedimento non va rimossa perché contribuisce all’affilatura. Ad essa va aggiunta solamente di tanto in tanto un po’ di acqua.
Per facilitare il distacco della bava creatasi, si può effettuare qualche passaggio con la medesima angolazione, ma con in filo in avanti, come si procede per le affilature su pietra naturale, ma senza esercitare una pressione eccessiva. Si continuerà in questo modo fino ad ottenere il grado di affinamento del tagliente desiderato passando alle pietre con granulometria gradatamente più fine.
Negli acciai che lo consentono, si può concludere il procedimento effettuando il cosiddetto “stroppo” con una coramella o una vecchia cinghia di cuoio per addolcire ulteriormente il filo e consentire il distacco delle micro bave residue.
LE PIETRE NATURALI DA AFFILATURA
Quello che la natura ci offre in termini di rocce e minerali può dar solo un idea delle varietà di pietre naturali che esistono e che sono state adoperate dall’uomo già nella preistoria. Ogni pietra di questa categoria è diversa dall’altra e anche se estratta dalla medesima cava, nel medesimo punto, potrà essere molto simile, ma mai totalmente uguale a quella vicina. Durante le varie spianature di cui avrà bisogno non sarà raro trovare delle “sorprese”, rappresentate da inclusioni di materiali estranei che a volte possono essere dei fossili.
LA GRANULOMETRIA DELLE PIETRE NATURALI DA AFFILATURA
Non essendo prodotte in laboratorio non hanno una classificazione come le sintetiche ma vengono identificate in base alla densità ed alla durezza (esempio: Soft Arkansas-Hard Arkansas). I paragoni con le granulometrie delle pietre sintetiche sono fatti solo ed esclusivamente per dare un indicazione comparativa di massima.
Il punto in comune è invece l’abrasivo che per le pietre naturali è costituito principalmente da varietà di silicio ( es. quarzo – grado 7 su 10 della scala Mohs delle durezze-, granato, ecc.) che può essere aggregato a materiali carbonatici o di altra natura che fungono da legante.
Le Arkansas Novaculite delle Quachita Mountains, la Pradalunga originaria della Valsassina, la pietra di Candia (antico nome dell’isola di Creta), le naturali giapponesi della zona di Kyoto, le belghe Couticle e BBW (Blue Belgian Wetstone), la Pietra dei Pirenei sono solo alcuni dei marchi che si trovano in commercio. Oltre a questi esistono anche quelle “non classificate” che alcuni arrotini italiani si dilettano a cercare e testare in particolari zone del Nord Italia in base alla loro esperienza maturata nel tempo.
CARATTERISTICHE
In generale (esiste qualche eccezione), le naturali sono pietre lente, nel senso che non hanno le stesse capacità di asportazione di una sintetica, vista la generale minor durezza dell’abrasivo, ma nella fase di finitura dei taglienti possono offrire risultati notevoli, molte volte superiori alle sintetiche. L’uso combinato delle due tipologie (sintetiche per l’asportazione e naturali per la finitura) può forse rappresentare la scelta migliore nel caso di ravvivamento di taglienti. Un altro vantaggio è dato dal fatto che, nel caso ad esempio del coltello, si possono adoperare con il filo rivolto in avanti senza correre il rischio di affettare la pietra come succede per le sintetiche con legante tenero, quando si eserciti una pressione eccessiva.
ACQUA O OLIO?
La stragrande maggioranza si usa ad acqua, mentre alcune vengono usate ad olio con bassa viscosità. Nel caso di legante calcareo, l’acqua funziona infatti da solvente, sciogliendolo in minima parte e consentendo l’affioramento dei nuovi granuli abrasivi. Un esempio è la vecchia cote Pradalunga per affilare la falce che veniva tenuta dal contadino in un piccolo recipiente attaccato alla cintura, ripieno di acqua.
L’olio viene a volte usato in quelle particolarmente porose per sigillarne i pori ed evitare che particelle metalliche intasino la pietra, rendendo anche più scorrevole il movimento durante l’affilatura. Lo svantaggio sta nel fatto che una volta oliata, la pietra non potrà più essere usata ad acqua, oltre ad avere un aumento dei costi d’esercizio. Inoltre è sconsigliato totalmente nel caso di pietre come la Couticole e la BBW perché inibisce la creazione della cosiddetta fanghiglia abrasiva (in inglese “slurry”) che contribuisce al ravvivamento del tagliente.
PREPARAZIONE DELLA PIETRA
Nell’affilatura professionale di coltelli ed altri taglienti, l’arrotino usa le pietre naturali esclusivamente nella fase di finitura, sia sul lato lungo più stretto, sia su quello più largo. Il primo viene molto spesso sagomato a schiena d’asino perché questo consente di poter affilare lame con morfologia particolare dove il filo non è lineare (spelucchini curvi, coltelli per disosso, ecc.).
In generale l’usura della pietra naturale è minore, ma se per il coltello non è importantissimo avere una superficie perfettamente piana, così non è nel caso ad esempio di scalpelli o ferri da pialla. Perciò è sempre consigliabile, prima dell’uso, spianarne la superficie di affilatura nella stessa maniera indicata per le sintetiche, metodo che si può usare anche per quelle adoperate ad olio.
Circa la conservazione sussistono diverse scuole di pensiero: alcuni conservano le pietre immerse permanentemente in acqua, altri le immergono qualche minuto prima dell’uso, altri ancora bagnano la pietra immediatamente prima dell’utilizzo. Non esiste infatti una regola precisa , ma è sempre bene ricordare che nel caso di leganti calcarei l’acqua, fungendo da solvente, contribuisce a far affiorare i nuovi granuli abrasivi.
LA POSIZIONE
Dopo essersi accertati del tipo di sezione della lama ed avere bloccato stabilmente la pietra (vedi supporto estensibile, tavoletta di legno, pannospugna con rialzo, ecc.), è sufficiente impugnare il coltello con la mano destra e posizionare la mano sinistra sulla costa della lama una volta impostato l’angolo. La mano sinistra ci sarà di aiuto per mantenere la corretta angolazione (10-15°) e pressione durante l’affilatura (vedi foto).
Effettueremo poi dei movimenti semicircolari partendo dal manico ed arrivando in punta su entrambi i lati della lama, mantenendo lo stesso angolo su ogni lato della stessa nel caso di tagliente simmetrico, variandolo invece nel caso di sezione asimmetrica.
Con l’esperienza si potrà anche lavorare solo con la mano destra come fanno alcuni arrotini ed è bene ricordare che nel caso si tenga la pietra con una mano (vedi foto), è OBBLIGATORIO indossare un guanto di protezione. Per le granulometrie grossolane (es. soft Arkansas), nulla vieta di usare lo stesso metodo impiegato per le pietre sintetiche. A fine procedimento si può eseguire anche qui lo “stroppo” su di una vecchia cinghia di cuoio o su coramella.
SAGGIARE IL FILO
Le modalità di saggiare il filo di noi arrotini sono diverse e tastare con il pollice il tagliente è la principale. Per controllare la qualità dell’affilatura è sufficiente sfiorare il tagliente nella direzione della lunghezza con il polpastrello del pollice leggermente inumidito, verificando che “morda” la pelle. Essendo questa un’operazione delicata e riservata ad esperti del settore, è consigliabile ricorrere alla classica prova di taglio della pagina di quotidiano, che avendo una grammatura leggera, risulta più difficile da tagliare di un normale foglio a4.
TESTO E FOTO: Stefano Valesio (Coltelleria Valesio)